Ti è capitato di accudire qualcuno con malattia di Alzheimer o altra demenza,

in preda all’ansia, che ti chiama in continuazione da una stanza all’altra?

Ti ha mai detto che gli manca il respiro o “l’aria”?

Succede che se non ti vede o non sente la tua voce, va nel panico e comincia a chiamarti senza sosta?

Questi sono tutti segnali di ansia.

CRISTINA VIGNA
Psicologa e Psicoterapeuta.

Caregiver, formatrice e scrittrice.

 

Si nota spesso, in persone con demenza, una sorta di attaccamento “eccessivo” alla figura di riferimento, senza la quale comincia ad agitarsi in preda allo spavento fino al terrore se non rassicurato.

 

Da dove deriva questa ansia?

 

Una persona che sviluppa la malattia di Alzheimer, o più in generale una demenza, sperimenta un crescente senso di disorientamento. La perdita progressiva delle proprie facoltà mentali è una delle esperienze più terrificanti che si possa sperimentare.

Per quanto la persona che si ammala possa essere inconsapevole o incapace di riferire di avere una malattia (in gergo “anosognosia”), quasi sempre percepisce profondamente che “qualcosa NON VA”.

Nelle fasi iniziali di malattia è solo un timore e la persona è in grado di andare dal medico e lamentarsi delle dimenticanze o dei problemi che nota.

Più avanti le dimenticanze e le défaillance diventano massicce. A questo punto potrebbero attivarsi tutta una serie di difese psicologiche per proteggere l’individuo dal dolore di questa consapevolezza: “mi sto perdendo, non sono più quello di prima, cosa mi succederà”?

In questa fase potremmo avere a che fare con una persona che lentamente si ritira e non si coinvolge più nelle conversazioni o nelle attività di vita quotidiana per la paura di sbagliare e mettere in evidenza i suoi “problemi” di performance.

Resta il fatto che, ad un qualche livello di coscienza, la persona è consapevole di non poter sopravvivere a lungo da sola. Si rende conto che sta perdendo le sue capacità di essere autonoma. Compresa la capacità di soddisfare le proprie necessità quotidiane (alimentarsi, idratarsi, vestirsi, lavarsi, ecc…).

A questo punto è molto frequente che si manifesti uno stato di ansia se il caregiver (cioè il punto di riferimento principale) si allontana. Anche se è semplicemente in un’altra stanza.

La memoria non li aiuta quindi non possono ricordarsi che “siamo in cucina a preparare il pranzo”. Si SCORDANO dove sono e dove siamo noi, si SCORDANO che eravamo lì con loro 5 minuti fa. Non riescono a rassicurarsi da sé con la logica perché sono “disorientati” nello spazio e nel tempo. Non riescono ad ancorarsi su dati di realtà.

Sono in uno stato di continuo presente e, se non ci vedono lì con loro, il loro presente è “da soli” (anche se siamo nella stanza accanto). Da soli, per una persona con demenza ad un certo stadio, equivale al “terrore”.

Bambole, animali domestici o peluches…Accudire e abbracciare come conforto.

 

Cosa fare?

Talvolta una componente di ansia può essere endogena, cioè provocata da modifiche nel cervello causate dalla malattia dementigena.

1. Innanzitutto sarebbe sempre bene rivolgersi ad un neurologo esperto in questo settore perché aiuti farmacologicamente ad alleviare una certa componente dell’ansia. Spesso i caregiver sottovalutano l’aiuto dei neurologi perché hanno paura che i farmaci “sedino” troppo i loro cari. Hanno paura che gli impedirà di parlare o stare svegli o essere reattivi come al solito.

Posso essere d’accordo che una sedazione eccessiva non è mai auspicabile, tuttavia, è necessario a mio avviso trattare tutte quelle condizioni che causano un forte disagio al paziente. Vivere in una continua sensazione di paura non è piacevole e dovrebbero essere presi provvedimenti quanto prima.

2. Rassicurare la persona e, ove possibile, rimanere a portata di “voce” o di “vista”. Spesso non è possibile perché abbiamo troppo da fare o perché la persona che assistiamo è costretta al letto. Allora che si fa. 

3. Tenerlo impegnato. Dare alla persona che assistiamo un compito da svolgere, adeguato alle sue capacità e possibilmente stimolante. È ovvio che una terapia occupazionale progettata con l’ausilio di un esperto sarebbe il massimo. Ma stiamo parlando qui di attività semplici, non pericolose, che la persona può svolgere senza la nostra supervisione anche da dentro un letto. Potrebbero essere dei fazzoletti da piegare, potremmo dargli una borsa piena di oggetti da scoprire e ordinare, riempire o svuotare, ecc…

Avere qualcosa da fare, anche “afinalistica”, può essere utile per distrarlo un momento dalla nostra assenza. La stimolazione sensoriale lo aiuta a portare i suoi “sensi” su un oggetto che è diverso dal suo continuo senso di disorientamento e solitudine.

4. Un altro suggerimento può essere quello di dargli “qualcuno da abbracciare”. Può essere un peluche o una bambola. Possibilmente morbidi e sufficientemente grandi da essere “plausibili”.

Non sempre funziona, talvolta ci guardano come se li stessimo prendendo per “matti”. Tuttavia, una persona con uno stato di ansia continua potrebbe lentamente, anche lontano dal nostro sguardo, cominciare a “giocare” con un oggetto che fa emergere un comportamento di accudimento.

Un cagnolino o una bambola morbida ci fanno letteralmente venire voglia di “prenderli in braccio”, accarezzarli, mettergli in ordine capelli e vestitini e tenerli tra le nostre braccia. Mentre la persona è impegnata ad accudire è difficile che senta il bisogno di essere accudita per sé.  Anzi, trae conforto dalla presenza di un altro anche se “finto”. Ovvio che il conforto può essere solo passeggero e che non può andar bene per tutti ma vale la pena provare

5. Delegare e riposare.

Sentire chiamare il nostro nome continuamente e assistere al perenne stato di ansia dell’altro senza poter fare niente di “risolutivo” è frustrante. Ci fa sentire impotenti e spesso ci porta ad innervosirci con l’altro, ad arrabbiarci fino a “desensibilizzarci”. A diventare quasi cinici e insensibili alle richieste.

Ogni caregiver perde la pazienza. La perde perché è stanco. La perde perché spesso nonostante diamo il meglio di noi finiamo le energie. Quando siamo in questo stato ci sembra che “è tutto inutile” e che per quanti sforzi stiamo facendo la persona che si è ammalata continuerà imperterrita a chiamare il nostro nome e ad essere in ansia.

Beh questo è il momento di delegare e RIPOSARE.

Quando tornerai i tuoi compiti dopo il riposo ti sarà più facile ricordare quanto sono belli i momenti in cui riesci a rassicurarlo, in cui gli sussurri che “va tutto bene” e che tu sei “li”. Ti ricorderai che la malattia non durerà per sempre, arriverà un momento in cui non riuscirà più a pronunciare il tuo nome e che anche questa fase ti mancherà.

Per “esserci” con amore e in modo efficace devi anche permetterti di “non esserci” e riposare.

 

Per riassumere ha almeno 5 consigli da seguire:

1. fare tutto il possibile farmacologicamente

2. rassicurarlo e tenerlo vicino a te il più possibile

3. tenerlo impegnato distraendolo dalla sua ansia

4. dargli qualcuno da abbracciare

5. delegare e riposare: per recuperare l’energia e la pazienza che ti permettono di continuare a fare tutte queste cose per la persona che accudisci.

 

Spero che il post ti stia stato utile.

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