Se solo fossi stato più…
Che cos’è il senso di colpa? Qual’è il motivo per cui è così comune tra i caregiver di persone con Alzheimer o demenza?
Cosa fare per stare meglio?
Se immaginiamo il senso di colpa come una paura di un giudizio o di una presunta punizione vediamo allora il caregiver che si dà addosso per quello che non ha fatto, o che ha fatto male o troppo poco.
Proietta nella sua mente delle voci giudicanti sul suo operato che non è stato come ci si aspettava.
Il problema è che questo “come ci si aspettava” non è mai realistico.
Il caregiver si dà addosso, ad esempio, per non aver fatto abbastanza.
Dice: “ho fatto tutto il possibile ma non sono stato costretto a ricoverarla in struttura perché non riuscivo più ad alzarla dal letto.
Se solo fossi stato più forte, più giovane, se solo avessi sopportato di più, se solo avessi trovato una badante, se solo avessi avuto i soldi, e così via…”
Ed ecco qua: le voci giudicanti che vengono proiettate riguardano qualcosa di impossibile.
È un piccolo delirio di onnipotenza che ci spinge a voler “fare” oltre i nostri limiti. A voler “salvare l’altro”.
Poi succede che la vita e la malattia si impongono, limitano le nostre possibilità di aiutare, e noi abbiamo due strade:
1) sentire quanto è profondo il dolore dell’ineluttabilità dell’esistenza e attraversare una fase di lutto e angoscia per la perdita che stiamo subendo e per l’incertezza del futuro.
2) negare con tenacia la presenza della morte e della nostra impossibilità di cambiare il corso delle cose. Per negare questa realtà ci diamo la colpa di non essere stati in grado di cambiare la situazione. Siamo noi i responsabili. Siamo noi che manchiamo di capacità, tempo, altruismo, soldi, risorse e così via.
In questa prospettiva possiamo guardare al senso di colpa come un comunissimo meccanismo di difesa da un dolore psichico enorme che riguarda il rendersi conto dell’ineluttabilità dell’esistenza umana.
Il significato della parola ineluttabile la dice lunga su quanto il caregiver possa fare per cambiare la situazione “ineluttabile significa: contro cui non ci si può opporre, contro cui non si può lottare”.
Quali possibilità ci rimangono?
Stare fermi a contatto con quello che sentiamo.
Osservare e rispettare i limiti che ci impone la vita è dolorosissimo e anche angosciante.
Poterlo fare però, piuttosto che negare l’esistenza dei limiti e proseguire a sentirsi in colpa, apre la possibilità di vivere in modo diverso una situazione drammatica come quella di un caregiver e della persona ammalata.
Cosa cambia?
1) Innanzitutto cambia la qualità della relazione: non sono più indaffarato a fare l’impossibile ma sto fermo e sto “con te”. Ti vedo, mi godo la tua compagnia, assaporo ogni istante sapendo che prima o poi ti perderò.
Questo “stare con l’altro” cambia radicalmente il vissuto emotivo di chi accudisce e di chi è accudito. In una malattia come l’Alzheimer o più genericamente una demenza questo è fondamentale anche per ridurre drasticamente i disturbi comportamentali.
2) In seconda battuta ciò che si modifica è il tipo di dolore che proviamo.
Il dolore di un lutto che viene elaborato, lentamente passa e ci apre ad un maggiore contatto emotivo con l’altro.
L’angoscia di un senso di colpa invece non ci lascia mai. È come un eterno “se solo avessi fatto, detto o potuto, ecc…”. Ma soprattutto ci allontana dal contatto con l’altro, vediamo la persona che accudiamo come lo “vorremmo vedere” e l’unica cosa su cui ci concentriamo è affannarci per “cambiare le cose”.